“La crisi della politica dei nostri giorni sta come nascosta dentro l’involucro di un dato di costume che è stato portato alla nostra attenzione da un recente editoriale di Lucio Caracciolo. Il quale ci ha rivelato che negli Stati Uniti il 94 per cento dei matrimoni avviene per così dire tra consanguinei politici (un repubblicano che sposa una repubblicana, un democratico che sposa una democratica). Mentre solo il 6 per cento delle coppie attraversano quella linea di confine scompaginando la rigidità delle ortodossie politico-familiari che ora vanno tanto di moda. Novelli Montecchi e Capuleti privi di uno Shakespeare che li racconti e li immortali.
E’ un dato che svela il punto limite a cui siamo arrivati. E cioè il fatto che le due metà dello spettro politico che si dividono il favore degli elettori non sono più i piatti di una bilancia del consenso che sale e scende lungo i virtuosi percorsi dell’alternanza. Sono diventate piuttosto due tribù, due sette, due mondi tra cui non c’è più niente in comune (e niente in mezzo). Così che l’alternativa tra gli uni e gli altri diventa ormai questione di vita o di morte, un vero e proprio scontro di civiltà. Mettendo a rischio a lungo andare la reciproca convivenza.
La questione non riguarda solo gli americani. Evidenzia piuttosto una tendenza che sta prendendo corpo un po’ dappertutto. E che denuncia la profondità della crisi che attanaglia le nostre democrazie. Crisi che non viene certo risolta dall’appello che si leva di tanto in tanto per recuperare un po’ di quel galateo istituzionale che appare così suggestivo guardando indietro nel tempo ma che suona ai nostri giorni come un’ipocrisia di cui nessuno vuole essere riconosciuto colpevole.
Ora, il ricordo di un passato edulcorato che di tanto in tanto viene evocato non andrebbe preso per oro colato. E’ vero, per quanto ci riguarda più da vicino, che democristiani e comunisti si parlavano all’epoca con un certo reciproco riguardo. E che perfino Berlinguer e Almirante di tanto in tanto si scambiavano qualche privata opinione. Ma la durezza di certi contrasti di allora c’era tutta, e non merita di essere archiviata in nome della retorica dei bei tempi andati.
Quello che fa differenza, semmai, è il fatto che all’epoca ogni leader si sforzava di parlare -anche- agli elettori dei suoi avversari. E che per risultare efficace in questo tentativo doveva evitare con cura ogni forma di eccessiva demonizzazione. Poteva essere sferzante con i propri antagonisti. Ma nello stesso tempo doveva dedicare ai loro argomenti e alle loro storie quella sorta di rispettosa attenzione che finiva inevitabilmente per addolcire le controversie dell’epoca. Se si fossero eretti muri di confine invalicabili non li avrebbero valicati neppure gli elettori. Così, l’asprezza dei contrasti tra i partiti di allora finiva paradossalmente per stemperarsi anche nel bel mezzo di campagne elettorali apparentemente cruente.
E’ qui che balza all’occhio la differenza con i nostri ultimi tempi. Infatti, quel tentativo di conquista dell’elettorato altrui ha lasciato ora il posto a una tecnica elettorale e propagandistica quasi capovolta. Nessuno tenta più di convincere gli elettori altrui. Ognuno si premura solo e soltanto di mobilitare gli elettori propri. E così adopera tutti (e solo) gli argomenti che scaldano il cuore dei propri tifosi avendo rinunciato in partenza a qualunque parola d’ordine che possa risultare convincente agli occhi dei tifosi della squadra avversaria.
Di questo passo, un passo dopo l’altro (e un eccesso dopo l’altro), si può arrivare così perfino alla monogamia politica degli sposalizi americani. Approdo al quale dalle nostre parti a quanto pare non siamo ancora giunti. Ma verso cui ci andiamo pericolosamente avvicinando a dispetto di quella sorta di buonsenso nazionale che più di una volta ci ha protetto dai nostri stessi eccessi. Dovesse finire così, ci troveremmo a quel punto quasi a rimpiangere la assai discutibile prassi del trasformismo d’una volta.
(di Marco Follini)