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Dong. Il rintocco di una campana è già un evento pieno. Un suono che “sa” di umano, di primordiale e di sociale; un avvertimento di presenza, un ritmo, qualunque sia, che dice “siamo qui”. Un rintocco di campana con cielo e nuvole innalza automaticamente lo sguardo e il pensiero, immagina territori spirituali inesplorati, lancia messaggi che vanno diffondendosi nell’aria, allargano il respiro, abbandonano la presa sulla terra, elevano verso e oltre l’orizzonte. Una campana che suona, da sola, nel mare aggiunge un elemento spiazzante e crea vertigini di associazioni di pensieri che non sapevi di potere o voler fare. Il suono di una campana mossa dalle onde è una poesia surrealista, un sogno metafisico che può essere dolcezza, festa e molto, molto dolore. Solitudine e compassione, traccia di un fato comune che ogni singolo tocco, dong, anziché separare unisce e non importa chi siamo e da dove veniamo.
Questo sogno, struggente e magnetico, accade e dura ogni venti minuti circa: siamo nel sotterraneo dell’ex zuccherificio Cuckrarna a Lubiana, adesso cuore pulsante dell’arte contemporanea della capitale slovena, immersi nel nostro silenzio attonito e nel buio rischiarato dai riflessi del sole sul mare (un’eterna epifania di bellezza), e questa campana che rintocca, dong, di- dong, sul rollio delle onde, ora dolci e tenui, ora allungata, frenetica, scossa da raffiche più potenti, l’ha pensata e realizzata per noi l’artista albanese, da tempo residente a Milano, Adrian Paci (che qui accanto ne racconta genesi e realizzazione). Il direttore Blaž Peršin, che ci accompagna, non ci ha avvisato della forza e potenza di questa danza marina: un canto delle sirene che calamita irresistibile la nostra ammirazione. La nostra emozione. Nelle sale ai piani alti, Paci è presente con una sua notevole mostra, che rende omaggio e riflette sull’eredità artistica e culturale che suo padre, il pittore Ferdinand, e la terra albanese, gli hanno lasciato. La guardo con la dovuta attenzione, ma ritorno in fretta, e con tutta calma, in questo sotterra pieno di spirito, e denso di spiritualità laica.
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Paci ha diviso l’installazione video («The Bell Tolls Upon The Waves», fino al 13 ottobre) su tre grandi schermi. Seguendo una regia attentissima, sugli schermi appaiono inquadrature del piedistallo basculante con la campana (che si incarica di “impersonare” anche la leggenda di quella della rocca di Santa Caterina, rubata a Termoli dagli ottomani ma subito perduta nel mare: troppo pesante, fece affondare la barca dei predatori), segno di vita per i marinai, avvertimento sonoro di presenza di forte mare; e dettagli di onde, o la linea dell’orizzonte che separa due blu contigui e diversi. Nuvole e riflessi, la luna nottuna e diurna, l’alba, il tramonto, la notte. Il ciclo della vita: e una campana, dong, che lo ricorda. Un artista è capace di scovare l’immenso nell’operazione più semplice: evoca, riporta, lascia fare, suggerisce. Atterrisce. In questo riesce la campana, e il mare e il cielo, di Paci: suona un destino e lo segna con la forza degli eventi naturali e delle costruzioni sociali. La campana che dondola sulla sponda italiana dell’Adriatico è l’anguilla di Montale: puoi tu non crederla sorella? Perché se Paci, di sopra, abbonda nella rappresentazione delle persone, dei riti culturali, qui sotto elimina la figura umana e ogni goccio di significato lo devi mettere tu. La campana che naviga immobile, il suo lamento gioioso o funesto, è metafora, fantasma di chi in mare, nei secoli, ed ora, e qui, trova esilio, perde vita, ripone speranza, cerca riscatto, magari trova futuro. Rende plastico ciò che spesso la letteratura, a parole, non sa dire: la morte per acqua di Fleba il fenicio, gemello dell’Ulisse dantesco, e quel sermone di John Donne, che tutti abbiamo sentito nominare per due versi celebri (uno “rubato” da Hemingway). «No man is an island, entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main (…) //; any man’s death diminishes me, because I am involved in mankind, and therefore never send to know for whom the bell tolls; it tolls for thee.» “Non mandare a chiedere per chi suona la campana; suona per te”. Per la nostra anima.
E sei tu, qui, che devi decifrare il suo messaggio. Nel buio del sotterraneo un ultimo rintocco, non sai da quale schermo. Su quello di sinistra, credo di vedere – o lo spero –, un sole che nasce. Dong. Silenzio. Struggimento. Dong. Dong. Titoli di coda. Brividi. In campana.