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Mi era già capitato di vedere le installazioni luminose dell’artista britannico Anthony McCall (1946) qualche anno fa alla Serpentine di Londra. Ma ora che la Tate Modern gli dedica una bella mostra personale dal titolo, perfetto, di «Solid Light», non solo si tratta di un’esposizione piccola ma che vale il viaggio, ma, nelle sale scure del museo sono evidenti più che mai i significati e le sensazioni che queste luci, ombre, e fasci generano in chi vi si trova immerso. McCall era attivo nella scena cinematografica dagli anni 70: ispirato dal raggio di luce irradiato dai proiettori nel buio di sala, sviluppò un’idea che avrebbe invertito le regole stesse del cinema: invitare il pubblico a girarsi e a guardare la fonte di luce anziché lo schermo. Ecco: la luce “solida”, davvero, di McCall è ottenuta con un proiettore che traccia linee di luce sullo schermo, a formare disegni geometrici variabili. Ma, grazie a un sottile, rarefatto, fumo che viene dal basso, le luci diventano presenza e materia, generano illusorie pareti, e lo spettatore ha una condizione straniante, sospesa, onirica e terribile allo stesso tempo, ultracorporea, come quei tunnel di cui racconta qualcuno nelle esperienza pre-morte. Le opere di McCall, tra cui «Split-Second Mirror» (2018) che utilizza uno specchio per interrompere un piano di luce, rendendo tutto ancora più infinito e ipnotico, sono incredibili sculture di luce e buio. I bambini in mostra, molti e divertiti, colgono lo “spirito” ambiguo e sfuggente di bagliori e buio cangiante: davanti a me, ad un’altezza giusta (conta anche questo nella visione dell’opera) un piccolo esclama: «I’m in heaven». È un paradiso artificiale, questo di McCall, che lascia stupefatti: le curve si attorcigliano lentamente, le linee ruotano, i fasci di luce creano spazi solidi. Nel silenzio, nella meditazione, sei immerso solo in te: e null’altro che luce e linea a sconfiggere il buio intorno. Forse non è questa l’arte? La vita?
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