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Un ritorno alla tranquilla routine di sempre dopo il grande spavento in appena sette sedute. Mai era successo negli ultimi 30 anni che l’ago del barometro della tempesta, quel Vix che misura la volatilità attesa sull’indice azionario S&P 500 di New York, tornasse sui livelli mediani di lungo termine dopo un picco come quello toccato nel lunedì nero dello scorso 5 agosto. Il suo rientro nei ranghi (15 punti rispetto alla fiammata di 65) a passo di record la dice lunga sull’aria che si è respirata nelle ultime due settimane sui mercati. Al tempo stesso non convince però del tutto gli operatori, che sembrano pronti a rinforzare ancora gli argini dei portafogli per far fronte a nuove ondate di volatilità.
Interrotta la lunga serie di rialzi consecutivi
Martedì Wall Street ha ceduto lo 0,2%, interrompendo una serie di otto sedute consecutive di rialzo, muovendosi con la massima cautela prima della pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione della Federal Reserve e ancora di più in vista dell’attesa testimonianza del presidente Jerome Powell al simposio annuale di Jackson Hole prevista per venerdì. Anche l’Europa ha tirato il fiato, con Piazza Affari in leggero ribasso (-0,59%) condizionata dalla debolezza dei titoli del settore energetico e delle banche. Il fatto che i principali listini mondiali siano stati tutti in grado di recuperare ampiamente e rapidamente le perdite subite a inizio mese è in ogni caso un elemento difficile da confutare.
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A favorire la marcia di rientro sono stati senz’altro gli elementi positivi contenuti nei dati macro, che hanno per il momento allontanato lo spettro di una recessione negli Stati Uniti e al tempo spesso alimentato una fiduciosa attesa nel tagli dei tassi che la Fed si avvia a effettuare nella riunione di metà settembre: uno scenario di atterraggio «morbido» e soprattutto «controllato» che incontra il favore di chi investe. L’episodio di volatilità è stato quindi attribuito soprattutto a ragioni di carattere tecnico quali il rapido smantellamento delle posizioni di carry trade dovuto al forte apprezzamento dello yen, ma anche al posizionamento particolarmente squilibrato dei fondi sui mercati azionari.
Una conferma in tal senso arriva da Ubs, pronta ad analizzare nove precedenti simili dal 1990 in poi. «L’analisi storica e il contesto stesso della recente impennata del Vix non lasciano presagire un’imminente crisi del credito o un vasto ampliamento degli spread», rassicurano gli analisti della banca d’affari elvetica, che mantengono per questo le posizioni sui titoli obbligazionari societari, nonostante le loro valutazioni elevate e grazie soprattutto a rendimenti più interessanti.
I dubbi che restano
Questo non significa tuttavia che i dubbi che turbavano i sonni di chi opera sui mercati appena qualche settimana fa si siano chiariti del tutto, anzi: gli analisti di BofA Securities li enumerano uno ad uno, partendo da «dati economici che rimangono volatili e in grado di influenzare la funzione di reazione degli asset a rischio», per proseguire con la doppia incertezza costituita dalla rapidità e dalla misura delle attese azioni della Fed e dal crescente rischio politico per l’avvicinamento delle elezioni Presidenziali Usa e concludere con le «prospettive dell’intelligenza artificiale» rimandando ai risultati di bilancio che Nvidia, l’alfiere del settore, presenterà alla fine di questo mese.