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Carry trade tra le parole più cercate su Google negli ultimi giorni. Perché rappresenta il cigno grigio che ha colpito i mercati in questa prima parte di agosto, innescando un aumento della volatilità paragonabile ai tempi del Covid e della crisi subprime del 2008. Gli analisti di Jp Morgan però iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel del carry trade. Secondo gli analisti della banca il 75% delle operazioni sarebbe stato chiuso. Mancherebbe quindi un quarto dell’opera prima di poter mettersi alle spalle questa spinosa faccenda per la stabilità finanziaria globale. La chiusura ha praticamente evaporato in pochi giorni i guadagni accumulati da questi operatori negli ultimi due anni.
Facendo un breve riepilogo di quello che è successo, lunedì 5 agosto la Borsa di Tokyo ha perso quasi il 13%, segnando la peggiore seduta dopo il lunedì nero del 19 ottobre 1987. Il panic selling -che si è poi riverberato anche sulle altre Borse globali – è stato innescato dalla forzata chiusura di molte operazioni di carry trade aperte negli ultimi due anni da operatori professionali sullo yen giapponese. In pratica, dato che la Bank of Japan non ha deciso di lasciare invariati i tassi nonostante l’inflazione stesse salendo mentre la Federal Reserve li ha alzati al 5,5% si è creato un differenziale di tasso tra le due aree economiche abnorme. Di conseguenza lo yen si è svalutato del 30% nei confronti del dollaro toccando livelli che non vedeva dal 1985.
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Uno yen debole e con tassi azzerati in Giappone, molti investitori hanno deciso di implementare operazioni di carry trade prendendo a prestito soldi in yen per investirli in attività più remunerative fuori dal Giappone. Quando però a inizio agosto la Bank of Japan ha deciso di alzare i tassi allo 0,25% – indicando che avrebbe continuato a farlo nelle prossime riunioni – il castello di carta per i “carry traders” ha iniziato a vacillare. Così hanno dovuto chiudere le operazioni. Come si chiude un carry trade di questo tipo? Bisogna vendere l’asset più remunerativo acquistati con i soldi presi a prestito in Giappone. Ipotizzando che un carry trader abbia acquistato azioni tecnologiche statunitensi (cosa piuttosto probaile considerando la straordinaria correlazione negli ultimi due anni tra andamento del Nasdaq e del cambio dollaro/yen) per prima cosa ha dovuto vendere le azioni a Wall Street. Il secondo passo è poi quello di convertire i dollari in yen (perché il debito va restituito in yen) e questo ha innescato un ulteriore rafforzamento dello yen, spigendo a sua volta altri operatori a dover chiudere (per il rialzo dello yen) altre operazioni di carry trade.
E’ quindi scoppiata la “bolla del carry trade giapponese” gonfiatasi negli ultimi due anni a causa della divergenza eccessiva tra la politica monetaria della BoJ e quella della Federal Reserve. Nessuno può sapere con certezza quando questa storia finirà ma secondo Jp Morgan non saremmo lontani dato che il 75% delle operazioni di carry trade aperte negli ultimi due anni sarebbe stato appunto chiuso. Manca un 25%, per cui se le stime sono vere non è da escludere che avremo altre sedute volatili. Ma almeno nessun rischio di stabilità finanziaria sui mercati globali.