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Ha propugnato senza requie l’arte della quotidinaità di ognuno, all’insegna dell’uomo comune, sempre alla ricerca dell’invenzione e della purezza originale. E così facendo, con un approccio “multifocale” al visibile in tutta la sua diversità e complessità, ha fatto emergere l’arte più oscura e sconosciuta, disprezzata da accademie e intellettuali d’elite, portando alla ribalta internazionale i quadri e disegni di malati psichiatrici, contadini, quisque de populo variamente ispirati e inetti.
Con l’Art Brut Jean Dubuffet a partire dagli anni quaranta del novecento ha insomma aperto e abbattuto i confini, ridisegnato le mappe estetiche, sovvertendo una volta per tutte i valori fondanti dell’arte occidentale, colpevole di escludere tutto quel che non è di matrice o comunque derivazione canonico-ellenistica.
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Con la definizione di Art Brut, descriveva lui stesso “intendiamo opere eseguite da persone indenni dalla cultura artistica…di modo che i loro autori attingono tutto dal loro proprio fondo e non dalle idee trite ritrite dell’arte classica e della moda”. E come ovvio, l’artista francese nato nel 1901 e morto nel 1985 ha attirato su di sè critiche anche volgari come quella di Cacaismo. Critiche che non hanno scalfito la sua determinazione a promuovere l’arte come tratto fondamentale dell’umanità e a collezionare l’Art Brut, dando vita con la sua donazione alla Collection de l’art Brut di Losanna.
La mostra cameo al Mudec di Milano, un vero caleidoscopio che offre al visitatore la possibilità di addentrarsi, quasi come un navigato astronomo, nel complesso e variegato e affascinante universo disvelato da questo artista-umanista, dal titolo “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”, in collaborazione con la Collection de l’Art Brut di Losanna, è visitabile fino al 16 febbraio.
Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider, a cura di Baptiste Brun, Sarah Lombardi e Anic ZanziMilano, Milano, Mudec, fino al 16 febbraio