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Il calendario della chiusura delle ultime centrali a carbone (phase out), dopo il programma di massimizzazione messo in campo tra settembre 2022 e settembre 2023 per limitare il consumo di gas a valle della fortissima riduzione dell’export russo verso l’Europa per via del conflitto in Ucraina, è ribadito nell’ultimo Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) trasmesso dal governo a Bruxelles a fine giugno. Dove si dà conto innanzitutto della messa fuori servizio definitiva dei quattro gruppi della centrale Enel di Fusina, in Veneto, per un totale di 760 megawatt, e dell’impianto termoelettrico di potenza pari a 600 MW, sempre in capo a Enel e ubicato a La Spezia, ai quali occorre aggiungere anche la centrale di Monfalcone (315 MW) di A2A. Che, pur non essendo ancora formalmente dismessa, a partire da aprile 2024 non è più abilitata ai mercati dell’energia e dove l’ultima entrata in funzione risale al settembre di due anni, il periodo in cui, come detto, gli impianti hanno ricominciato a funzionare al massimo dei giri per consentire al Paese di far fronte allo shock energetico dovuto ai tagli delle forniture russe destinate all’Europa.
Ora, secondo la tabella di marcia indicata nel Pniec, il completamento del processo di phase out richiederà la dismissione degli altri impianti a carbone (Civitavecchia, Brindisi, Sulcis, Fiume Santo): nel complesso circa 4.650 megawatt di potenza, di cui 1.000 MW solo in Sardegna.
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Nell’isola, per arrivare al definitivo spegnimento, saranno necessarie alcune condizioni garantite dal combinato disposto di ulteriore sviluppo di rinnovabili, accumuli e due nuove interconnessioni di Terna con il Continente come il Tyrrhenian Link, il doppio collegamento tra Sicilia, Sardegna e penisola, nonché il Sacoi 3, il progetto di rinnovo e potenziamento dell’attuale collegamento elettrico sottomarino tra Sardegna, Corsica e il resto dell’Italia. Soltanto a valle di questi tasselli, rimarca il governo nel Piano, saranno assicurate le condizioni tecniche di sicurezza della rete necessarie a completare l’abbandono del carbone nella produzione elettrica (totale circa mille megawatt) che, dunque, dovrebbe partire dal 2025 (data prevista per l’effettiva entrata in esercizio della capacità di accumulo contrattualizzata in Sardegna per le aste del capacity market 2024) e concludersi tra gennaio 2028, quando entrerà in esercizio il primo cavo del ramo ovest del Tyrrhenian Link, e gennaio dell’anno dopo con il completamento del doppio cavo sottomarino.
I prossimi step riguarderanno, dunque, i due impianti di Enel a Brindisi e a Torrevaldaliga Nord, nel Comune di Civitavecchia, la cui produzione è prossima allo zero da diverso tempo, al netto della parentesi del programma di massimizzazione legato alla guerra tra Russia e Ucraina. Per entrambi, come sottolinea anche il Pniec, la chiusura del processo di phase out è prevista entro il 2025. E su entrambi gli impianti sono stati istituiti due comitati, su input del ministero delle Imprese e del Made in Italy, che lavorano a individuare soluzioni per il futuro dei siti. Per ciascuno, al vaglio del comitato ci sono numerosi progetti con potenzialità concrete di realizzazione (circa otto per Brindisi e circa cinque per Civitavecchia). Attorno alla centrale pugliese stanno emergendo, in particolare, diverse iniziative imprenditoriali con focus nell’eolico offshore in modo da sfruttare il bando pubblicato ad aprile dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, a valle del decreto energia 181 del 2023, con cui dovranno essere individuati almeno due porti nel Mezzogiorno per sviluppare la cantieristica navale collegata allo sviluppo dell’eolico offshore nel nostro Paese. Mentre nel sito di Civitavecchia a prevalere è un mix di soluzioni che spaziano dalla logistica alla trasformazione di alcune strutture dell’impianto con finalità industriali.