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Il cinema e il pugilato offrono spesso un connubio capace di regalare buone soddisfazioni e non fa eccezione “Bang Bang” di Vincent Grashaw, film presentato fuori concorso al Locarno Film Festival.
Il ring diviene di solito una metafora dell’intera esistenza, ma in questo caso al centro della trama c’è un pugile in pensione, Bernard Rozyski, soprannominato “Bang Bang”. Nonostante siano passati molti anni dal suo ritiro, Bang Bang continua a rimuginare su quanto successo a quei tempi e, in particolare, sul suo storico rivale, coltivando dentro di sé una fortissima rabbia, mentre vive in un misero appartamento in un quartiere di Detroit.
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Improvvisamente la sua vita cambierà quando sua figlia bussa alla sua porta per lasciargli per qualche tempo suo figlio, un ragazzo problematico che fatica a trovare il suo posto nel mondo. Con il nipote accanto, Bang Bang potrebbe raggiungere una sorta di personale redenzione: l’obiettivo è allenare il ragazzo per combattere sul ring, ma i demoni del passato continuano sempre di più a tormentare la mente del vecchio pugile.
Dopo “What Josiah Saw” del 2021, Vincent Grashaw – americano, classe 1981 – si conferma un regista da tenere in considerazione: la sua messinscena è solida ed emergono diverse tematiche che si collegano all’interno della sua filmografia. Dai segreti del passato che continuano a tormentare il presente all’importanza dei rapporti intergenerazionali, sono diversi gli elementi costanti nella poetica di un autore ancora molto sottovalutato.
All’interno della narrazione di “Bang Bang” il tema della redenzione si collega inoltre a quello della vendetta, personale e collettiva, poiché le azioni del protagonista diventano anche profondamente simboliche di un’idea di rivalsa sociale.