(di Alfonso Neri)
E’ servito il week end per capire
che l’attacco ucraino in territorio russo nella regione di Kursk
è più di un diversivo e così l’azione militare ha piegato il
rublo: nella prima seduta della settimana la moneta di Mosca ha
ceduto fino al 5% sia sul dollaro sia sull’euro ritornando ai
livelli di fine maggio, con riflessi negativi sulla Borsa russa.
Gas in rialzo per tutta la giornata, per poi chiudere in calo
dell’1,8% sotto i 40 euro.
Per il rublo si tratta di una chiara inversione di tendenza.
La moneta russa ha registrato nel particolare un calo che ha
portato l’euro a tornare anche sopra quota 100 e il dollaro a
sfiorare un valore di 92 rubli. Un movimento brusco, che ha
mandato in fumo parte del lavoro degli ultimi mesi della Banca
centrale di Mosca. Il rublo infatti aveva toccato i suoi minimi
subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma
nei mesi successivi la corsa del gas aveva ridato fiato alla
valuta. Poi però la speculazione è finita e soprattutto si sono
bloccati i flussi di denaro dall’estero, con la Banca centrale
di Mosca che ha stampato una gran quantità di rubli, spesso
senza le necessarie coperture, per finanziare la guerra. Ma
negli ultimi mesi gli sforzi russi sembravano aver stabilizzato
la situazione. Fino all’attuale scivolone.
Il movimento della moneta ha influito direttamente anche
sulla Borsa di Mosca: l’indice Moex espresso in rubli si è
infatti mosso attorno alla parità, mentre l’Rtsi in dollari ha
perso oltre il 3%, scendendo sotto la quota psicologica dei
mille punti. Ovviamente inversa per tutta la seduta
l’intonazione del gas, strutturale per l’economia russa. Per
molte ore ha pesato il fatto che dal territorio sotto attacco
ucraino passa più della metà del metano che ancora raggiunge
l’Europa, con Paesi come l’Austria e la Slovacchia che ancora
dipendono da queste importazioni. Poi le conferme di Gazprom che
per ora le forniture non hanno subito conseguenze hanno
contenuto il prezzo.
Il tutto in un contesto di mercati instabili, che attendono
gli ormai prossimi dati dei prezzi alla produzione e soprattutto
l’inflazione in luglio negli Stati Uniti, che potrebbero dare
segnali più chiari sulle prossime mosse della Fed. Secondo Mark
Haefele, Chief investment officer di Ubs Global wealth
management “i fondamentali economici e reddituali restano
solidi. Un atterraggio duro dell’economia statunitense rimane un
rischio, ma i rischi di recessione ci sembrano sopravvalutati”.
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