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Un seguito del capolavoro del 1979? Si può definire anche così “Alien: Romulus”, settimo capitolo della saga iniziata da Ridley Scott quarantacinque anni fa, posizionato cronologicamente dopo il film capostipite.
Più precisamente si tratta di un midquel, essendo un film inserito in mezzo a due lungometraggi precedenti del franchise, in questo caso il primo e il secondo (quello del 1986 diretto da James Cameron e intitolato in italiano “Aliens – Scontro finale”), ma con personaggi completamente nuovi, fatta eccezione per un… sorprendente ritorno.
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Al centro della narrazione c’è un gruppo di giovani colonizzatori, disposti a tutto pur di abbandonare il degradato pianeta in cui si trovano per cercare fortuna altrove. Fuggendo nell’universo in cerca di un futuro migliore, vanno a rovistare nelle profondità di una stazione spaziale abbandonata dove si troveranno faccia a faccia con una serie di xenomorfi.
Alla regia c’è Fede Alvarez, regista abituato a riprendere in mano importanti saghe del passato: il suo esordio al lungometraggio è stato con “La casa” (2013), quarto titolo del franchise e remake del cult di Sam Raimi del 1981, ma successivamente aveva diretto anche “Millennium – Quello che non uccide” del 2018, seguito di “Millennium: Uomini che odiano le donne” e adattamento del romanzo di Stieg Larsson.
Con “Alien: Romulus” ha firmato però il progetto più ambizioso e complicato della sua carriera, visti anche i deludenti risultati dei due precedenti lungometraggi, “Prometheus” (2012) e “Alien: Covenant” (2017), prequel del film del 1979 ed entrambi diretti da Ridley Scott.